Curiosità
La pianta
Il pistacchio è il seme di una pianta del genere Pistacia Vera, appartenente alla famiglia botanica delle Anacardiacee. Sono presenti altre due specie: il Pistacia theribinthus, che viene adoperato come portainnesto, e il Pistacia lentiscus, pianta più conosciuta come lentisco.
È una pianta che cresce con molta lentezza ma è notevolmente longeva. Difatti può vivere oltre 300 anni e raggiunge in media i 4-5 m di altezza, tuttavia alcuni esemplari possono toccare anche gli 8-10 m.
Gli alberi più giovani presentano una corteccia grigio chiara che tende a scurirsi con il passare del tempo, mentre il legno, duro e nodoso, invecchiando muta il suo colore che da giallo diventa rossiccio.
La pianta del pistacchio è caducifoglia, ossia perde le foglie durante l’inverno. È composta da 3/5 foglioline con forma ovale e apice arrotondato.
Il pistacchio è una pianta dioica, ossia alcuni esemplari portano solo i fiori maschili, altri solo quelli femminili. Quelli maschili non producono frutti, ma sono necessari per impollinare quelli femminili e condurli dunque alla produzione. Il fiore maschile produce polline vitale solo per 2-3 giorni, mentre quello femminile è ricettivo per 4-5 giorni. Un albero maschile può produrre abbastanza polline per fecondare fino a 10 piante femminili. L’impollinazione è anemofila, cioè dovuta all’azione del vento.
I frutti sono drupe di forma ovale ed allungata. Sono ricoperti da un sottile mallo esterno che ricopre un endocarpo lignificato contenente a sua volta il seme, il pistacchio per l’appunto. Questa è la parte commestibile ed è composto da due valve di colore verde vivo, avvolte da una sottilissima buccia violacea.


Terminologia
Una particolarità presente nelle nostre tradizioni durante la raccolta sono degli intercalari tipici di chi appunto raccoglie il pistacchio, i più utilizzati sono:
- “A cocciu a cocciu”, raccogliere i pistacchi ad uno ad uno;
- ” ‘Campammuri chilli’n’terra”, raccogliere i pistacchi da terra, e non proseguire finchè non si è terminato;
- “Cariti u jmbu”, abbassati la schiena (per raccogliere i pistacchi caduti a terra);
- “Cenniri”, passare al setaccio i pistacchi per togliere le foglie;
- “Cimare”, togliere le cime;
- “Cucciari”, raccogliere i pistacchi ad uno ad uno (metodo usato durante la seconda mano);
- “Cuturari”, far cadere a terra i pistacchi maturi;
- “Marignati ru siccarizzu”, si dice dei pistacchi raggrinziti per la siccità;
- “‘Mpizzutarisi i jirita”, appuntire le dita (quando qualcuno raccoglie da terra molti pistacchi e si graffia le dita);
- “Ndi lu menzu”, all’interno tra gli alberi di pistacchio;
- “Nè grattigghiammu ‘si giumbi!”, non facciamo il solletico a questi grappoli! (esortazione a velocizzare il lavoro)
- “‘No nd’anu spini!”, sono privi di spine! (incitazione al non aver paura a raccogliere i frutti);
- “Silliari”, selezionare i pistacchi, togliendo quelli vuoti;
- “Sgrullari”, togliere il mallo (buccia esterna) dal pistacchio;
- “Niscimmu rò cugghiutu a sduvacari”, usciamo dalla parte raccolta e andiamo a svuotare il contenuto dei sacchi;
- ” ‘Nittammindi i peri”, puliamoci i piedi! (esortazione a raccogliere i pistacchi da terra perché si avvicina la fine della giornata);
- “Si savvunu ro siccarrizzu e si piddìnu pì l’acqua”, i pistacchi si sono salvati dalla siccità e si sono rovinati per la troppa acqua;
- “U suri è ndè vanelli, ‘ricugghiummundi i barattelli”, espressione usata per indicare il calare del sole e il momento in cui la giornata di lavoro è finita e gli operai tornano a casa.
Per quanto riguarda i pistacchi, ci sono diversi modi in cui vengono chiamati, modi molto particolari:
- Frastuca, nome per eccellenza usato per indicare il pistacchio;
- Babbaracchi, pistacchi vuoti all’interno;
- Chiùmpiri, compiuti, pistacchi maturi;
- Fimminella, qualità di pistacchio molto piccola;
- Napuritana, qualità di pistacchio più grossa;
- Sconnabbeccu, portainnesto del genere Terebintus;
- Vacantummi, pistacchi solo con il guscio ma senza il seme, vuoti.
Testi e leggende
Anticamente i contadini facevano uso del pistacchio in modi inusuali: bevevano un infuso ottenuto dalla corteccia fresca della pianta di pistacchio, mentre la resina estratta dal tronco, veniva impiegata nella cura dell’ernia inguinale, cura associata a specifiche formule magiche per ottenere un buon esito. Invece con la buccia morbida (grolla) cotta con lo zucchero si usava preparare i “succaruri” oggi noti con il nome di leccalecca, con scopo di favorire la digestione. A proposito di buccia, uno studio effettuato sui pistacchi di Bronte ha verificato il contenuto totale di composti fenolici nei pistacchi, e ha dimostrato di essere significativamente più alto nelle bucce rispetto ai semi. Si può dire quindi che le bucce di pistacchio, grazie a loro potere antiossidante dato dall’elevato contenuto di composti fenolici, potrebbero essere impiegate con successo nell’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica.
All’interno della cultura letteraria e storica, ci sono dei riferimenti precisi riguardanti il pistacchio:
Dante Alighieri nella Divina Commedia (Inferno, Canto XII, vv. 4-5) cita: “Non fronda verde ma di color fosco; non rami secchi ma nodosi e ‘nvolti.’” descrivendo nella selva l’aspetto della pianta di pistacchio in inverno priva di foglie.
Già al tempo dei faraoni, il nome del pistacchio è riportato insieme ad altre piante nell’obelisco di Assurbanipal eretto nella città di Kolach.
Alla corte della regina di Saba, i pistacchi erano così preziosi che potevano essere gustati solo dalla famiglia reale e dai dignitari.
Gli assiri prima e i greci dopo, nel III secolo A.C., conoscevano il pistacchio e lo utilizzavano contro i morsi di animali velenosi e come droga/medicinale.
Anche Plinio, quando Lucio Vitellio tra il 20-30 d.C. introduce la pianta di pistacchio dalla Siria, ne dà testimonianza nella sua Naturalis Historia nei capitoli X e XIII: “Syria praeter hanc peculiaris arbores: in nucum genere pistacia nota…”.


Il medico persiano Avicenna, scrive nel suo libro Il canone della medicina che il pistacchio è un ottimo rimedio per le malattie del fegato oltre ad essere molto afrodisiaco.
Il monaco Jacopo D’acqui, biografo di Marco Polo, descrive le prelibatezze al pistacchio gustate dall’esploratore durante il suo viaggio nella regione asiatica del Catai.
Nel 1612 Baldassarre Pisanelli nel suo Trattato della natura de’ cibi et del bere scrive: “levano meravigliosamente le opilationi del fegato, purgano il petto e le reni, fortificano lo stomaco, cacciano la nausea, rimediano al morso dei serpenti”.
Il botanico Castore Durante in Tesoro della sanità del 1646 consiglia di mangiare i pistacchi come aperitivo o digestivo a inizio o a fine pasto.
Alessandro Dumas (padre) nel “Il grande dizionario della cucina” suggerisce l’utilizzo del pistacchio in alta gastronomia soprattutto in ripieni, creme, pesce, selvaggina ecc.
Infine anche i monaci Benedettini del Convento di San Nicolò di Catania utilizzavano i pistacchi di Bronte per farcire i loro dolci di ricotta e cioccolato. Ne danno testimonianza i loro libri di spesa, e addirittura nel 1860 a Garibaldi fù dedicato un secondo piatto di carne con ripieno di pistacchio denominato “rotolo alla garibaldina” e al Duca Nelson gli “involtini alla Ducea”.
Esistono anche dei riti molto particolari legati alla terra e alla coltivazione del pistacchio che caratterizzano ancor di più l’importanza che ha il pistacchio per Bronte e per i suoi abitanti. Uno tra questi è “A limoszina ri menduri e ri frastuchi”, (‘Elemosina delle mandorle e dei pistacchi’): era un rituale che si verificava quando il questuante arrivava nel fondo agricolo, apriva il quadro di legno a forma di libro e lo mostrava al proprietario della terra portandoglielo alla bocca per baciare il SS. Sacramento. Dopo questo atto di culto, passava a farsi dare “l’elemosina di mandorle e pistacchi” secondo la sua fede e i suoi averi. Grazie a queste generose donazioni, e anche grazie al contributo dei cittadini, diverse chiese risalenti al XVI secolo, sono state restaurate nel XIX secolo. Un’altra tradizione è quella di dedicare un albero di pistacchi alla Madonna Annunziata, e il ricavato ottenuto dalla raccolta di quell’albero viene donato appunto all omonimo Santuario.

Dizionario Brontese
Dizionario brontese
- Antu: porzione di pistacchieto dove si svolge la raccolta;
- Bullicu: piccola area di pistacchi ancora da raccogliere;
- Carrazzu: bastone a forma di forcella che serve a sostenere i rami che tendono a stare a terra;
- Catòricu: buono, normale (si usa riguardo il tempo);
- Crivu: setaccio;
- Dù ann’ora: due anni fa;
- Failluni: ramo che nasce dalla parte bassa del tronco dell’albero di pistacchio e tende verso l’alto, produce pistacchi dopo 4 anni;
- Fàuri/fàvuri: rami bassi;
- Frastucara: albero di pistacchi;
- Giumbu: grappolo di pistacchi;
- Garigghiu: seme del pistacchio, sgusciato;
- Grolla: mallo del pistacchio;
- Lignu ri manca: legno sterile;
- ‘Maddanari/mandanari: alberelli che nonostante i numerosi innesti restano sterili;
- ‘Nzitu: innesto;
- Sacchina: contenitore che serve a raccogliere i pistacchi, fornito di una cintura che si avvolge attorno al collo;
- Spampinare: germogliare;
- Stindituri: spazio aperto dove vengono stesi i pistacchi ad asciugare sotto il sole;
- Tistina: grappolo di pistacchi solitario, posto tra i rami alti.